“In Myricae colori differenti, atmosfere suggestive e improvvisazione” – La nostra intervista a Luca Falomi

Con il nuovo disco “Myricae”, Luca Falomi comunica la sua versatilità sonora e tecnica, regalandoci un lavoro che surfa agilmente sulle onde di generi diversi. Affascinati dalle composizioni, gli abbiamo chiesto di rispondere ad alcune domande.
Ciao Luca, iniziamo parlando di te. Chitarrista eclettico che spazia tra i generi senza dimenticare le proprie origini jazz. Oltre a questo, come ti definiresti?
Ho iniziato il mio percorso con la musica classica, sviluppando poi un forte interesse per la musica improvvisata, e quindi il jazz, che considero come un modo di pensare e un mondo che mi dà la possibilità di sperimentare all’interno di schemi che io stesso posso creare, muovendomi sempre con grande libertà. Ho praticato generi musicali differenti, compresa la cosiddetta “world music” ovvero quella mistura tra elementi etnici provenienti da culture e tradizioni vicine e lontane. Questa grande apertura musicale e mentale mi ha permesso di creare un mio vocabolario e un mio modo di parlare in musica, che prescinde da etichette e generi musicali, pur contenendo elementi specifici di tutto ciò che mi piace e che ha influenzato e caratterizzato il mio percorso.
In questo scenario, quanto conta per te la tecnica in relazione alla sperimentazione?
La tecnica per me è ciò che mi permette di esprimermi. Senza la tecnica che ho acquisito non sarei in grado di comporre la mia musica, né di eseguire la musica scritta da altri artisti. Anche nell’improvvisazione la tecnica è importante, perché permette di esprimersi senza limiti. Esattamente come succede quando parliamo con qualcuno o in pubblico. Se il nostro vocabolario è limitato e ci esprimiamo in modo timido o insicuro, il nostro messaggio non è chiaro o comunque non abbiamo abbastanza elementi a disposizione per articolare un discorso fluido e di senso compiuto.
Parlando di musica, e facendo parlare la musica… “Myricae” è il tuo nuovo disco. Ci ha colpito per la sua versatilità oltre i generi e per la grande maturità dimostrata nelle composizioni. Quindi, come è nato e quanto tempo ha richiesto portarlo a termine?
“Myricae” ha avuto una incubazione di 10 anni dal mio ultimo lavoro solistico dal titolo “Sober”, pubblicato nel 2014. In questo arco temporale ho curato molti progetti condivisi, collaborando con grandi artisti della nostra scena nazionale e internazionale, che mi hanno dato modo di crescere molto artisticamente e affinare la mia visione. “Myricae” è nato dall’esigenza di mettere a nudo il mio modo di fare musica, di comporre e di approcciarmi al mio strumento, senza filtri e nella massima semplicità. Questo album racchiude al suo interno brani per sola chitarra registrati in presa diretta, insieme a composizioni che per loro natura mi portavano a pensare un arrangiamento più complesso, andando a includere ospiti e a registrare io stesso parti aggiuntive sovraincidendomi. Il risultato, a mio avviso, è un mix di colori differenti, di atmosfere suggestive, di pieni e di vuoti, con la massima attenzione alla composizione ma anche un grande spazio per l’improvvisazione in varie forme.
Qualche parola sui tuoi compagni di viaggio Stefano Della Casa, Giovanni Ceccarelli, Marco Fadda, Giulia Beatini…
Quando ho deciso di realizzare “Myricae”, ho pensato di coinvolgere come coproduttore e braccio destro Stefano Della Casa, un mio carissimo amico, eccellente polistrumentista, che nel suo percorso si è specializzato nella produzione musicale e nel film scoring. Da anni volevamo fare un progetto insieme, diverso rispetto ad altri ai quali abbiamo lavorato precedentemente. Stefano mi ha affiancato in tutte le fasi di “costruzione” dell’album, dalla selezione dei brani alla realizzazione finale passando per la registrazione. Gli ho affidato la produzione di due brani, sui quali si è espresso con sonorità davvero speciali, che hanno dato alla mia musica nuovi colori e suggestioni. Sul brano “Peace Song” ho voluto coinvolgere Giovanni Ceccarelli al rhodes. Volevo dare calore al brano e ampliare l’arrangiamento con un altro solista, e il suo fraseggio sempre lirico e narrativo è stato davvero prezioso. Sullo stesso brano e anche su “Ishtar” ho coinvolto Marco Fadda, uno dei più grandi percussionisti a livello europeo, con cui ho già collaborato in precedenza sia dal vivo che in studio. Anche questa volta Marco ha creato dei groove stupendi con textures raffinate e mai scontate utilizzando una moltitudine di strumenti etnici. Sul brano “Stefano e Irene” invece volevo doppiare il suono della mia chitarra con una voce, visto il carattere molto cantabile della composizione. Ho coinvolto Giulia Beatini, una grandissima cantante specializzata nella musica antica e lirica, ma in grado di esprimersi con grande spessore in contesti musicali non classici e con una vocalità davvero interessante e per nulla scontata. Il risultato è una sorta di fusione tra la chitarra e la voce, come se insieme diventassero un nuovo strumento.
Il lavoro è stato presentato dal vivo al La Claque di Genova, la tua città. Come è andata la serata? Emozioni? Tue e del pubblico.
La serata di presentazione a Genova è stata anche la data zero per la mia nuova band che mi accompagnerà in molti concerti nei prossimi mesi. Volevo costruire un quartetto che mi permettesse di riprodurre gli arrangiamenti che ho creato per il disco e anche di proporre dal vivo alcuni dei brani più belli che ho composto negli ultimi anni. Con me sul palco c’erano Eugenia Canale al piano, Stefano Della Casa al violoncello e Max Trabucco alla batteria. Il pubblico era numeroso, i ragazzi hanno suonato benissimo, e si è creata una grande complicità e partecipazione in sala. Non vedo l’ora di suonare nuovamente con loro dal vivo. Suonare nella mia città è sempre una grande emozione e ringrazio tutto il pubblico presente.
Abbiamo curiosato sui tuoi social, ci ha colpito il reel di “Peace Song” in riva al mare. Nella tua musica, quanto conta l’immaginario circostante per veicolare il tuo messaggio artistico?
Periodicamente pubblico video nei quali suono nei luoghi più disparati. Sono un grande appassionato di natura in tutte le sue forme, dal mare alla montagna e amo comporre in luoghi specifici nei quali mi sento ispirato. Vivo a Bogliasco, un piccolo borgo marinaro vicino a Genova, dove ho la possibilità ogni giorno di sentire il suono del mare e vedere paesaggi stupendi. Penso che il luogo sia sempre determinante rispetto a come viviamo, come pensiamo e ci esprimiamo. La mia creatività si esprime in forme differenti a seconda dei luoghi che frequento. Anche in “Myricae” c’è tutto questo e ogni brano è stato composto in un luogo differente.
Ad oggi, chi reputi essere i migliori chitarristi in circolazione? Senza badare al genere.
A parte me? Ovviamente scherzo! Ci sono molti grandi talenti a livello chitarristico. Continuo a stimare e ascoltare gli artisti della vecchia guardia che hanno portato la chitarra in territori diversi e stupendi. Adoro Ralph Towner, Egberto Gismonti, Pat Metheny, Bill Frisell. Amo i chitarristi che sanno comporre e in generale fanno un uso “musicale” del loro strumento”, cosa per nulla scontata perché spesso ci si perde nella tecnica. Tra i giovani mi vengono in mente Yamadu Costa, Antoine Boyer e il nostro Matteo Mancuso.
Vuoi aggiungere altro a questa nostra chiacchierata?
Ringrazio tutti i lettori e chi segue la mia musica, invitandovi a seguirmi sui social e sul mio sito www.lucafalomi.com. Presto pubblicherò il calendario estivo dei miei concerti che mi porteranno a presentare “Myricae” in giro per l’Italia. Vi invito inoltre a sostenere la musica acquistandola per aiutare artisti e discografici a portare avanti i loro progetti!
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