Il singolo “Onde d’urto” e l’importanza di essere fragili – Intervista a Francesco Loccisano

Dal 3 ottobre è in rotazione radiofonica “Onde d’urto”, il nuovo singolo di Francesco Loccisano, ad anticipare l’uscita dell’omonimo disco. Il chitarrista calabrese considerato uno dei principali innovatori della chitarra battente e ha collaborato con artisti di fama internazionale. L’abbiamo intervistato per sapere qualcosa di più su “Onde d’Urto” e sul suo prolifico percorso musicale.
Il titolo “Onde d’Urto” ha una forza evocativa: rappresenta più un concetto musicale o un’immagine interiore?
“Onde d’urto” è un concetto musicale riconducibile a uno scenario interiore che va a coincidere con un periodo ben preciso della mia vita. “Onde d’urto” racconta la decisione razionale di superare quei limiti dettati dalle difficoltà sia fisiche che emotive, ed è il riassunto di un’importante rinascita artistica. “Onde d’urto” indica quanto sia importante nella vita essere fragili per scoprire quel potenziale interiore che ci riporta sulla giusta strada. “Onde d’urto” è un’anomalia del sistema artistico ormai impostato su cliché preconfezionati.
La chitarra battente è al centro del tuo percorso: qual è, secondo te, la sua “voce segreta” che molti ancora non conoscono?
La chitarra battente è lo strumento che mi ha permesso di chiudere gli occhi più delle altre chitarre, di lasciare andare la mente, di spegnerla. La sua capacità evocativa, da subito, mi ha permesso di trovare una strada nuova. Il segreto di questo strumento non è riconducibile a qualcosa di razionale. I fan sostengono che ai concerti il viaggio sia immersivo e che l’empatia vibrazionale sia altissima. Io mi accorgo che suscita meditazione, respiro, profondità, e che questo è diverso dal concetto di applausi dettati spesso dal divertimento. Ma oggi la “segretezza” della chitarra battente la si può anche studiare perché oltre ad essere un concertista, da qualche anno sono il primo docente in Italia di chitarra battente al Conservatorio Tchaikowsky di Nocera Terinese (Cz).
Domanda: Ci sono musicisti o generi che hanno influenzato il tuo approccio a questo lavoro più degli altri?
Sì, sono stato un grande appassionato di flamenco, e questo genere tradizionale ha influito molto sul mio percorso artistico. Mi è sempre piaciuta la spontaneità spagnola e la loro generosità nel condividere piccoli segreti stilistici. Questi elementi sono molto presenti nel mio percorso artistico. Anche la musica classica ha avuto un grande impatto, avendo studiato chitarra classica in Conservatorio. Poi, da calabrese, sono sempre stato attratto da ciò che è “sanguigno”, e il nostro scenario musicale tradizionale calabrese rimane oltre che la mia passione il mio faro primario, la mia luce.
In passato hai collaborato con grandi nomi come Eugenio Bennato e Vinicio Capossela. Quanto quelle esperienze hanno inciso sul tuo stile attuale?
L’esperienza con Eugenio è stata molto formativa. Come artista, il nostro Eugenio porta un messaggio molto importante di un Sud che si fa sentire, della voglia di riscatto in primis, ed è un mio grande sostenitore. Quando decisi di avviare il mio progetto da solista, lui mi diede una grande spinta emotiva, sottolineandomi l’importanza di sviluppare la chitarra battente in un contesto solistico, e non solo come strumento di accompagnamento del canto popolare. Quindi, grazie a lui e a tantissimi altri colleghi (Mimmo Cavallaro, Mujura, Macagnino), ho lavorato duramente per il superamento dei limiti sia esecutivi che compositivi. Con Vinicio è stata un’esperienza più breve, ma importante per comprendere quel mondo cantautorale e profondo che ha a che fare con la comunicazione di stati d’animo differenti rispetto al mondo dal quale provenivo.
Domanda: Il brano ha una dimensione quasi cinematografica: pensi che la tua musica si presti a colonne sonore o progetti visivi?
Mi sono sentito dire spesso che la mia musica è cinematografica. All’inizio ero un po’ perplesso e mi chiedevo quale strada stessi percorrendo. Il mio pensiero sonoro è basato sull’uso solistico della chitarra battente, con una forte matrice meridionale: una strada solistica nuova, differente, che mancava al nostro panorama artistico. Poi ho capito che effettivamente la mia musica evoca delle immagini, e credo possa essere valida anche come colonna sonora. Ho iniziato, infatti, a chiedere ai miei ascoltatori quali fossero le immagini e le storie che emergevano dalla loro fantasia, e ho capito che potrei essere molto utile a qualche regista. Alla fine, mi tengo stretto e saldo il concetto di “evocazione”, che credo sia uno dei pilastri fondamentali dell’arte.
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