I Pagliacci di Leoncavallo alla Cascina Falchera di Torino: l’allestimento della Lirica Tamagno col Circo Madera

Dar vita a un’opera lirica in un contesto non convenzionale è sempre una scelta degna di plauso, poiché si coinvolge un pubblico più ampio del solito e soprattutto perché la creatività, invece di una strada possibile, diventa uno strumento necessario. Per far fronte ad esigenze di spazio e di budget, si lavora sui testi, sulle musiche e sulle immagini di modo che gli stessi garantiscano la giusta atmosfera a dispetto delle complicanze. Di sicuro, peraltro, la Società Lirica Francesco Tamagno, che in collaborazione col Circo Madera ha portato a Torino tre repliche dei Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, si è assicurata una serie di interpreti che aiutano, con la loro bravura e professionalità, a distogliere l’attenzione da ogni altro aspetto che non sia il verismo musicale al centro di questo lavoro presentato il 21 maggio 1892 al Teatro Dal Verme di Milano sotto la direzione di Toscanini. Nel cast troviamo infatti Walter Fraccaro (Canio), ex piastrellista e pluripremiato tenore di fama internazionale (si legga del Radicchio d’Oro al Teatro Accademico di Castelfranco Veneto); e con lui Marta Leung (Nedda), soprano italo-mauriziana diplomata ad Alessandria e dal timbro morbidissimo; Jung Jaehong (Tonio), baritono sudcoreano diplomatosi a Parma, anche lui molto riconosciuto; il baritono Paolo Ingrasciotta (Silvio) e il tenore turco Murat Can Guvem (Beppe). L’esibizione è inframmezzata dagli interventi circensi di Silvia Laniado, Roberto Sblattero e Donatella Zaccagnino.
Due parole sulla trama. Pagliacci è la prima e più nota opera di Leoncavallo, che si ispirò ad un fatto di cronaca realmente accaduto e giuridicamente trattato dal padre, magistrato a Montalto Uffugo (Calabria). Il tutore dell’autore stava con una donna che era desiderata anche da un altro: l’altro spara al tutore di Leoncavallo uscendo da un teatro. Nella narrazione, una piccola compagnia itinerante composta dal capocomico Canio, dalla moglie Nedda e dai due commedianti Tonio e Beppe deve inscenare una commedia. Nedda tradisce Canio con Silvio. Pure Tonio ama Nedda, lei lo rifiuta, lui denuncia gli amanti. Canio però non può vendicarsi: deve vestire la giubba e fare il pagliaccio, e sua moglie sarà Colombina. Il teatro nel teatro (nel teatro nel teatro). I due litigano sulla scena ma lei rifiuta di dire il nome dell’altro: Silvio è seduto in platea, accorre in suo aiuto e Canio li accoltella entrambi.
Le due compagnie hanno scelto di allestire lo spettacolo su un prato della Cascina Falchera, innovativo spazio periurbano in strada Cuorgné, dove è stato montato lo chapiteau dei Madera, spazio nomade per antonomasia in grado di restituire l’opera a una comunità variegata e autentica, in una rinuncia su più fronti alla ribalta dei teatri convenzionali ma assicurando così al pubblico un’esperienza amplificata, un rito quasi: spettatori e attori convivono infatti in uno spazio molto piccolo, quello del tendone da circo, in cui s’instaura un livello di intimità strana. Le cosce degli astanti, strizzati sulle panche, si strusciano con le loro vicine mentre i cantanti esibiscono non solo una storia, ma anche le proprie capacità, ad una distanza tanto ravvicinata da risultare quasi assente. Il canto è dentro di me mentre ascolto: loro cantano guardandomi, guardando proprio me, come se io potessi o dovessi intervenire. D’altronde tutti recitano, anche il Coro Tamagno e il Coro di voci bianche dell’Istituto Comprensivo Caduti di Cefalonia (diretti da Entela Kulla). La regia è di Alberto Barbi e Giuseppe Raimondo, mentre il maestro concertatore è Giovanni Manerba. Il gruppo è stato in grado di esaltare il realismo di questa one-hit wonder con espedienti interpretativi semplici, quasi teneri, ma la serietà con cui tutto veniva presentato infondeva ragion d’essere alla situazione stessa. I costumi erano brillanti e curati, sulla scena arriva persino un’apecar. La trama, con l’ausilio della parte più circense, avrebbe potuto essere spiegata o parafrasata durante l’esibizione stessa, per rendere la situazione più didascalica (un luogo come la Cascina Falchera attira famiglie, bambini); sebbene sicuramente gli interventi acrobatici o clownistici fossero gradevoli, forse il loro coinvolgimento avrebbe meritato una rimodulazione. Nel complesso, comunque, si è trattato di un evento singolare, gradevolissimo e suggestivo: non si è sentita la mancanza dell’acustica da teatro, come di un’orchestra completa (al posto della quale Manerba ha proposto una serie di acrobazie non indifferenti), e difficilmente ci si può scordare dell’intensità del canto lirico a distanza più che ravvicinata.
Davide Maria Azzarello









