Essere soli è davvero così grave? In scena al Teatro Franco Parenti “Il ministero della solitudine”

La solitudine è un tema molto delicato, che riguarda molte persone e in diversi ambiti: c’è chi soffre per la mancanza di qualcuno al proprio fianco, chi invece la patisce nonostante sia circondata da gente tutto il giorno. La solitudine è un sentire intimo e personale, profondo, che va al di là della semplice interazione con gli altri. E lo spettacolo della compagnia lacasadargilla ne parla in termini che mettono a nudo un punto di vista di quello che il concetto di “solitudine” racchiude.
In scena al Teatro Franco Parenti di Milano dal 25 febbraio al 2 marzo, “Il Ministero della Solitudine” mostra spiragli di vita di cinque individui “soli” a loro modo. Innanzitutto, il testo, scritto dalla compagnia, si ispira a un fatto di cronaca internazionale del 2018: in Gran Bretagna viene nominato un Ministro della Solitudine, una figura alquanto fuori dal comune, ma in un’epoca in cui la depressione affligge sempre più persone è una scelta interessante. In questo spettacolo gli attori vivono nel proprio mondo, anche quando interagiscono con gli altri, infatti pochissime volte li vediamo davvero parlarsi faccia a faccia, perché la loro solitudine è dominante.
Addirittura, sembra quasi che la loro solitudine sia allo stesso tempo una gabbia e un porto sicuro, tanto da rendere difficile l’interazione con gli altri. E il fantomatico Ministero della Solitudine, che si compone di un’unica responsabile, Simone (Tania Garribba), non fa eccezione: fredda, rigida, è invece un’altra persona sola, che trasmette i messaggi senza empatia con un’altoparlante, riducendo sempre di più la possibilità di confronto, limitando il tutto a interazioni a distanza. Primo (Emiliano Masala) ha trovato in un manichino, che ha chiamato Marta, una compagna da idealizzare, senza riuscire a ottenere buon esito da tutti i consigli che il ministero gli ha fornito. Teresa (Caterina Carpio) è invece una professoressa che ha scelto di prendersi un periodo di pausa per scrivere un romanzo che assomiglia più a un’autobiografia da tenere per sé, mentre la figlia Alma (Giulia Mazzarino) viene lasciata a se stessa, in perenne compagnia delle sue cuffie. E infine c’è F (Francesco Villano), che separatosi, rimane senza lavoro e investe tutto in api.
Tutte e cinque le storie si intersecano, ma senza mai toccarsi davvero, come se ognuno, in fondo, volesse proteggere la propria solitudine, anche durante serate organizzate per stimolare la convivialità. Forse per alcuni istanti ci si può davvero parlare, si può davvero interagire, guardare qualcuno negli occhi, ma poi si torna sempre nella propria tana.
La regia di Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni esalta la bravura di un cast eccellente, soprattutto affrontando la intensa drammaturgia del testo di Fabrizio Sinisi.
“Il ministero della solitudine” non dà risposte, e neanche soluzioni. Semplicemente parla a chi lo sta guardando, e solo chi guarda potrà capire se, alla fine, essere soli sia davvero così grave.
Roberta Usardi