Della vita e della morte: in viaggio con Gospodinov

“Di cosa parliamo quando parliamo della morte? Della vita ovviamente, di tutta la sua incantevole fugacità”
“Il giardiniere e la morte” (Voland, 2025, pp.195, euro 19) è l’ultimo libro di Georgi Gospodinov (tradotto da Giuseppe Dell’Agata), noto scrittore bulgaro contemporaneo che, con il favore di critica e pubblico, sta scalando le classifiche mondiali con i suoi libri.
È un libro che svela da subito le intenzioni, perché fin dalle prime pagine è chiaro di cosa vuole scrivere l’autore – “Questo non è un libro sulla morte, ma sulla malinconia per la vita che se ne va” – e lo fa gelandoci con un incipit destinato a rimanere nella memoria del lettore: “Mio padre era giardiniere. Ora è giardino”.
Al centro della narrazione ci sono gli ultimi giorni di un padre, ma anche i racconti della sua vita, della sua famiglia e quelli di una parte della Nazione, quella Bulgaria rurale che oggi anche noi conosciamo un po’ di più.
L’autore non segue un ordine cronologico, ma si lascia cullare dai ricordi, e ce li rende così come affiorano in lui, facendo delle pause quando si fanno troppo dolorosi, perché c’è bisogno di prendere un bel respiro prima di abbandonarsi di nuovo e far rivivere giorni fin troppo vivi per appartenere a qualcuno che ormai non c’è più.
Non sono le parole – asciutte e scelte con cura- a far male, a mio avviso, ma le pause che prende. Sono le pause in cui, anche chi nella vita ha sempre le parole per descrivere qualcosa, smette di averne. Pause in cui l’autore, forse, rivede il proprio padre morire e sente la propria infanzia crollare senza avere chi chiamare in aiuto.
E lo scrive in maniera così semplice che per un attimo anche chi legge prende posto accanto a lui.
Ma qualche pagina più in là, per fortuna, è già primavera. Il giardino torna a rifulgere della stessa luce di sempre. Nonostante tutto. Nonostante chi lo aveva sempre curato non c’è più. Quel giardino, forse, assurge ora a un significato tutto nuovo. Forse una metafora della vita stessa, della sua ineffabilità.
È questo quello di cui parla il libro, della vita. E per farlo, parla anche della morte, della sua dolorosa ineluttabilità.
“La morte è un ciliegio che matura senza di te.”
Sara Pizzale








