“Circe”: il grido di un femminile che chiede riscatto alla storia

La “Circe” di Ilaria Drago ricorda tanto la vigorosa Marianne del capolavoro pittorico firmato dal francese Delacroix e dal titolo “La libertà che guida il popolo”.
È la potenza di un inno al coraggio, di una energica rivendicazione universale alla libertà dell’uomo che sembra unire queste due donne, così distanti nel tempo eppure vicine nelle intenzioni alte, rivoluzionarie.
Il grido di un femminile che chiede un riscatto rispetto alla storia è il taglio di Fontana che fa vibrare un lavoro scritto, diretto e interpretato da una Drago viscerale e vera, andato in scena nello Spazio Rossellini di Roma sabato 22 febbraio alle ore 21.
Circe diva e donna eterna conosce tutto, attende il pubblico-ospite sull’isola di Eea, un mondo ora alla deriva dove tronchi d’alberi sono le uniche superstiti forme di vita.
La donna mitizzata dai racconti di Omero sceglie l’esilio, un ritiro il suo volontario e necessario per osservare meglio la storia scritta nei fondi delle bottiglie e che delle cicatrici fa vie di resurrezione. Questa Circe è testimone delle lacerazioni del mondo, denuncia un sistema patriarcale logorato da guerre, odio e violenza, dalla sopraffazione e competizione con l’altro. Raglia ad un potere che semina il brutto negli esseri umani e attorno per sete di ingordigia e di menzogna. Il suo è un percorso della coscienza nella terra di se stessa che fa da specchio all’archivio interiore dei suoi ospiti, cucendo il femminile di tutta la terra e operando su di sé una metamorfosi consapevole. È una donna che ha interpretato infinite parti, “Non sono stata che un sogno e forse un sogno lo sono ancora?”, si domanda, nell’illusione dei giorni, nelle maschere e nei ruoli con cui ci identifichiamo. Ci invita, dunque, a strappare i copioni che recitiamo costantemente e a ritornare a credere nell’essere umano, nella preziosità dell’ esistenza. La sua dirompente carica ricorda il monito di Majakovskij: non rinchiuderti partito nelle tue stanze. Esci e resta amico dei ragazzi di strada!
L’insurrezione personale è per Circe l’unico passo possibile per operare un salto di coscienza che cerca di arrestare la caduta verso il baratro. L’attrice destreggia sapientemente respiro, cuore e polmoni in un viaggio dal grottesco al politico, con momenti più lirici di danza e inserendo micrometamorfosi vocali, fa jazz con le parole grazie anche alla collaborazione con il musicista Scatozza. Si alternano sei mutazioni di personaggi sulla scena che richiamano le donne iraniane nel gesto audace del taglio di capelli, le donne sarde nella dolce nenia, le madri di Plaza de Mayo, le donne tenute ai margini, le tristi tonnare di feriti a vita.
Non più lo stereotipo negativo tramandato con l’Odissea dove la donna-strega era ben nota per aver trasformato i marinai giunti nella sua isola in maiali, ma una forza femminile in grado di concepire un’evoluzione attraverso la condivisione e la comunicazione sana guidate da un’unica fonte d’amore.
Affinché ci siano nuove epifanie di bellezza Circe ricorda di preservare la meraviglia nei bambini e agli ospiti lascia in dono le parole di Cristina Campo, un bardo per il cuore: Vorrei che si dicesse alla gente con brutalità o con dolcezza parimenti violenta: ricordati che hai un’ anima e che quest’anima può tutto.
Diana Morea