“Bestiario idrico”: Marco Paolini al Teatro Romano racconta la crisi dell’acqua

Per il gran finale della 77esima edizione dell’Estate Teatrale Veronese, l’autore di Vajont e di ITIS Galileo torna ad arrampicarsi con la parola sulle pareti del cambiamento climatico e antropologico, mostrando come l’emergenza trasformi non solo i paesaggi, ma anche i rapporti tra le persone e tra i popoli.
Il richiamo alla responsabilità individuale e collettiva di fronte alla realtà è presente fin da subito, e vibra nella domanda “Chi paga il prezzo della guerra?” che Marco Paolini rivolge forte e chiaro al pubblico prima di salire sul palco, a sostegno di chi “manifesta contro ogni logica di guerra, contro quel destino, contro quella feroce soluzione dei conflitti” (il video integrale è disponibile sul profilo instagram @marcopaoliniofficial).
La drammaturgia, in collaborazione con Giulio Boccaletti, prende le mosse da una finzione tanto ironica quanto amara: Paolini, nei panni di una sorta di Benjamin Malaussène “esperto di catastrofi”, non può sottrarsi all’invito di ogni conferenza internazionale sul clima. Di fronte all’esigenza di tradurre le analisi e i dati tecnici in una forma di comunicazione adatta alle masse, sorge il paradosso: l’incarico ricade automaticamente sul teatro, come se l’arte fosse l’ultimo rifugio, l’estrema possibilità. Ed è innegabile che la divulgazione, di per sé, tende a informare più che formare, il pubblico ne esce più dotto ma non più preparato a compiere delle scelte pratiche. Invece il teatro, che è “civile” nella misura in cui smonta gli alibi individuali e collettivi, apre vie inedite anche tra argomenti apparentemente distanti nel tempo e nello spazio. Basta affacciarsi sull’etimologia del termine “rivali”– abitanti di opposte rive, in pace o in guerra a seconda che l’acqua scorra in abbondanza o scarseggi – per rendersi conto di quanto ogni parola racchiuda ancora al proprio interno la memoria di conflitti antichi e attuali.
Ecco che allora il personaggio Paolini intraprende un viaggio tortuoso, andando direttamente alle fonti, in senso letterale. Dialoga con ogni corso d’acqua a partire dal fiume Adige, interroga le sorgenti, intervista bacini idrici di tutto il globo. L’importante è avere scarpe buone, gli ripetono, e poi basta camminare dritto. Scavalca interi cumuli di tronchi, nei quali il bostrico dell’abete rosso prolifera dopo la tempesta Vaia; volta la carta ed è nel bel mezzo del Mar dei Sargassi, l’ecosistema unico al mondo e vitale per molte specie, a partire dalle anguille. Il percorso a ritroso ci conduce all’archetipo di ogni racconto d’acqua: Noè, che Paolini in un certo senso porta affettuosamente con sé a braccetto fin dalla Fabbrica del Mondo.
Vero e proprio approdo scenico di quel “teatro campestre, corale e vigile” di cui abbiamo avuto modo di parlare in occasione dell’anteprima del documentario diretto da Marco Segato (qui il link), Bestiario idrico è una partitura per attore e coro, nello specifico il Coro delle Cicale diretto da Giuseppina Casarin, che certamente ha buone scarpe – pardon, buone voci – ma che ancora cerca, con un po’ di fatica, una propria collocazione nel microcosmo teatrale, alle spalle o intorno alla platea.
Visto al Teatro Romano di Verona in occasione della prima nazionale, domenica 21 settembre 2025. Prossime date: dal 7 al 9 novembre al Teatro Goldoni di Venezia.
Pier Paolo Chini








