Alessio Arena: “Il sesso degli alberi”, e quello nostro

Alessio Arena, docente, cantautore e traduttore, è autore di vari romanzi. L’ultimo è “Il sesso degli alberi” (Fandango Libri, 2025, pp. 348, euro 18,50).
“Allora presi la mano di mio padre, me l’avvicinai alla bocca e gli lascia un bacio rosso, rossissimo, come il mantello che teneva Achille nel suo disegno. Era il mio modo di dirgli: non ti preoccupare, cerco di vivere la vita che tengo in mente, te lo prometto. Faccio tutte le guerre che devo fare, per essere una femmina.”
Matteo ha undici anni e vive in un paesino della provincia spagnola, con una madre con cui ha pochissimo a che fare e un padre pianista in sedia a rotelle che gli dà attenzione solo quando canta con la sua voce che sembra bianca e angelica. Tutto cambia il giorno in cui il padre viene a mancare e la madre lo manda a Napoli, dalle cognate. Protetto da quelle due zie bizzarre, fissate con la botanica, la musica e i numeri della smorfia, che vivono nel palazzo di famiglia semidiroccato, presto scopre di appartenere alla stirpe del più grande cantante napoletano di fine Seicento, il (semi) castrato Matteuccio. Ma soprattutto, scoprirà e riconoscerà sé stesso, accompagnato da una nuova famiglia che lo vede per quel che si sente ed è.
“La notte del terremoto, finalmente lo capii: avevo cambiato paese, città, lingua. Adesso dovevo adattare il suono, i pronomi. La voce per dire chi ero.”
A metà tra romanzo di formazione e favola, Arena ci racconta tante storie. La storia di chi prende consapevolezza di sé e preferisce essere considerata un’erbaccia piuttosto che non riconoscersi. La storia di un’amicizia profonda che accompagna, consola, salva. La storia di una famiglia che si sgretola, scompare e di un’altra che si costruisce per affetto e affinità. Tra Napoli e Barcellona, scopriamo un pezzetto di anni ’80, di chi è nato sulla sponda sbagliata (o presunta tale) del mondo: “e questo significava dover entrare in acqua subito subito dove non si tocca. Significava che ti dovevi buttare, senza nessuno che ti facesse vedere una via per non rischiavi di affogarti.”
Arena, con delicatezza, ironia, una coloritura napoletana del linguaggio ben dosata, e personaggi meravigliosi come le zie, Alansorrenti e l’Apemaya, ci accompagna in un viaggio assolutamente godibile tra concetti troppo spesso fraintesi e bistrattati: il diverso agli occhi di qualcuno, è invece il perfetto completamento di qualcun altro.
“Non ci sta niente di sbagliato dentro al nostro corpo, teniamo un corpo immacolato. Siamo come una pagina bianca. Decidevi tu cosa ci scrivevi sopra. Dove mettevi un punto e una virgola. Che cosa cancellavi, cosa toglievi e cosa aggiungevi.”
Laura Franchi