“UN CUORE DI VETRO IN INVERNO” – IL SINGHIOZZO DI COSCIENZA DEL CAVALIERE FILIPPO TIMI
Filippo Timi torna in scena dopo due anni al Teatro Franco Parenti di Milano, con un testo ancora una volta profondamente personale. Gli elementi di uno spettacolo indimenticabile ci sarebbero tutti. L’idea di narrare la storia di un cavaliere errante, in bilico tra la chanson de geste, la lauda medievale e la più contemporanea figura di un Brancaleone da nobilissima commedia all’italiana. E con il condottiero la sua armata di compagni di scena memorabili, lo scudiero – Michele Capuano – che non si fida del mondo (e fa bene) ma scopre l’amore e ne viene travolto, il cantastorie triste – Andrea Soffiantini – con una chitarra, piatti minuscoli e un pugno di palloncini colorati, la prostituita – Elena Lietti – dall’irresistibile turpiloquio con accento emiliano, l’Angelo custode – Marina Rocco – costretta all’immobilità sospesa della sua iconografia, paurosa, fragile, che eppure – anche solo per una volta – vorrebbe sfiorare la terra.
Scene, costumi, scelte musicali, evitano di calare le vicende in un tempo definito. Tutto è coperto da quell’aria di teatro artigianale o di marionette, baraccone nostalgico ed errante come nella più antica delle tradizioni. Le idee e gli spunti iconografici sono molteplici e di impatto. Visivamente siamo davanti a qualcosa di prezioso. Infine, i testi cardine scritti da Timi per lo spettacolo sono forti e poetici, raccontano di sofferenza, paura, ricerca di sé, vita e morte, sconfitta ed esistenza nuova di un cavaliere che risorge dalle proprie ceneri, scintillante nonostante abbia abbandonato il relitto della sua armatura. Eppure rimane l’amaro in bocca, per la frustrazione nel vedere una materia così viva e potenzialmente efficace spegnersi per la mancata costruzione di una curva narrativa ed emotiva solida e coerente, per il mancato controllo drammaturgico di insieme dell’operazione, e duole dirlo. Nella prima parte lo spettacolo fatica a decollare e a trovare un collante, le scene e i monologhi più veri, intensi e coraggiosi esplodono qua e là per essere quasi sempre sacrificati e troncati dal sovrabbondare del resto. Un resto che non focalizza una linea univoca per il lavoro, lo fa sconfinare a briglie sciolte ora nel cabaret ora in ripetizioni esponenziali ed elementi fini a sé stessi, ora nel gioco facile col pubblico, che anche questa volta riceve la sua dose di risate come da aspettative. Un pubblico che apprezza e applaude a scena aperta in ogni singola pausa che lo permette, anche quando si parla di dolore e violenza; tanto che forse bisogna chiedersi perché si ride? Perché si applaude? Questa volta si sente fortemente il bisogno di un argine. Lo spettacolo funziona, e molto bene, quando da un certo punto in poi riesce in effetti ad essere compatto e focalizzato solo e finalmente sulla linea originaria e centrale, sul cuore di vetro pulsante nell’inverno e nella notte stellata. Finché, in una scena intensa e mozzafiato, il cavaliere combatte e urla in un componimento dal sapore arcaico tutta la disperazione, la rabbia e la paura, mette a nudo quel cuore e salta nel vuoto; urla, ma lo fa verso la quinta di sinistra, non verso la platea, su cui lo spettacolo fino ad allora sembrava essere continuamente calibrato. Da quel momento in poi tutto sembra coeso e coerente, anche il monologo finale e simpaticissimo dell’Angelo, anche Billie Jean di Michael Jackson. Non lo erano state allo stesso modo, nella prima parte, le battute facili, non lo era stato, per esempio, il ricorso alla musica neomelodica napoletana.
Filippo Timi non ha bisogno di dimostrare nulla, è un attore e un artista dalla sensibilità ormai indiscussa. Eppure ogni tanto, perché un’opera non finisca per essere riuscita a metà, basterebbe riuscire a capire quando fermarsi, quando poter aggiungere qualcosa perché funzionale e quando farne a meno, perché gioverebbe all’economia complessiva del lavoro. Bastava tanto così, per non trovarsi di fronte ad un “singhiozzo di coscienza” dove avremmo invece potuto assistere ad un intimo e dolente flusso, di cuore e di anima.
Mariangela Berardi